CONOSCERE SE STESSI - La Consapevolezza: Cos'è, perchè è sinonimo di gioia, perchè è la base di un sano equilibrio e cosa implica nel quotidiano - Essere Gioia Essere Anima
Ti sei mai dato la possibilità di essere felice?

CONOSCERE SE STESSI – La Consapevolezza: Cos’è, perchè è sinonimo di gioia, perchè è la base di un sano equilibrio e cosa implica nel quotidiano

 

 


Abbiamo già parlato di Consapevolezza nei nostri precedenti articoli “Alchimia Celebrativa” e Ti Sei Mai Chiesto Chi Sei?”  pur senza menzionarla direttamente.

In quella sede, ci siamo riferiti ad un’attività basilare, ad essa preliminare, chiamata Osservazione,  presentandola in maniera più o meno introduttiva, ma comunque come pratica indispensabile se si aspira ad un buon livello di autonomia nonché di padronanza e maestria nel gestire le nostre attività quotidiane e, non ultimo, se si aspira a divenire creatori coscienti del proprio destino in sintonia con le nostre inclinazioni e predisposizioni naturali, piuttosto che essere in balia del nostro inconscio che, in questo senso, non sempre, ma il più delle volte, rappresenta il nostro sabotatore.

In realtà i due termini Consapevolezza ed Osservazione non sono del tutto sinonimi.

L’osservazione è la capacità, appunto, di osservare, cioè di “portare” la nostra consapevolezza su un qualcosa che ci accade, vuoi internamente e/o esternamente.

L’osservazione, secondo Osho, non è propria della mente, ma la sovrasta, in quanto, nel momento in cui ci fermiamo ad osservare i nostri processi interiori, l’attività mentale inevitabilmente cessa; se stiamo pensando a qualcosa, smettiamo di pensare, se stiamo provando una sensazione piacevole o dolorosa che sia, l’osservazione crea un distacco tra noi e ciò che percepiamo, andando a modificare in qualche modo la percezione stessa, che può assumere una connotazione diversa; solo per fare uno dei molteplici esempi, se si tratta di una sensazione interiore, un dolore, una rabbia o tristezza, possiamo notare che all’inizio li percepiamo in una data zona del corpo e che, con l’osservazione, possono spostarsi in un’altra zona. Di solito, le sensazioni legate ad uno stato d’animo si avvertono al livello del plesso solare, ma anche all’altezza del cuore o della gola.
Se non usiamo l’osservazione, inoltre, senza che che ce ne accorgiamo, un’attimo dopo il verificarsi dell’esperienza emotiva dell’episodio spiacevole, la mente ordinaria (o corpo mentale inferiore) parte col suo lavorio di giudizi e lamentele, creando un campo di vibrazioni negative dentro e fuori di noi che ci tirano verso il basso, portandoci a dissipare le nostre energie.

La Consapevolezza è invece lo stato di coscienza che si arriva a sperimentare attraverso tale osservazione attenta, più elevato di quello della mente ordinaria e che, per quanto all’inizio ci possa apparire come un’impresa erculea, si acquisisce con l’allenamento, alla stessa stregua di un esercizio fisico.
All’inizio sembra quasi impossibile fermarsi ed osservare un’emozione prima che parta; di solito reagiamo e soltanto dopo osserviamo il nostro stato interiore ripensando a quanto è accaduto. Andando avanti e praticando l’osservazione, si progredisce, fino a riuscire ad intercettare ed inibire la reazione meccanica prima che parta: col tempo, si consegue un distacco via via maggiore, ed il livello raggiunto non si perde più, anche se può capitare di avere la sensazione di avere un regresso, o, spesso, soprattutto all’inizio succede che in alcune situazioni si ricada in comportamenti inconsapevoli e meccanici, per poi ritornare
in quello stato”.
Quando ciò accade, non bisogna recriminare o colpevolizzarsi, ma perdonarsi ed accettarsi per il livello di padronanza che si possiede e ricominciare con perseveranza a praticare.

La Consapevolezza,  attraverso l’osservazione attenta, ci permette, mentre ci accade un evento, di mantenere la nostra attenzione sia all’interno che all’esterno, attuando quel distacco che ci porta a riconoscere e a fare esperienza  dei nostri processi interiori (mentali, emozionali, fisici) e quelli esteriori (un alterco, un incidente, una presunta ingiustizia, un lutto, ma anche una gioia inaspettata o no che sia) come manifestazioni di un unica realtà, in cui gli unici veri responsabili siamo noi, perché ad un livello vibrazionale profondo abbiamo attratto e co-creato quella situazione, cioè, il nostro stato emotivo e/o mentale interiori hanno generato un campo vibrazionale che, per la Legge di Attrazione o Risonanza, ha richiamato nella nostra realtà quelle determinate persone ed eventi.

Ovviamente, il verificarsi di queste situazioni, piacevoli o spiacevoli che siano, genera in noi dei processi interiori che, se manifestati reattivamente ed inconsapevolmente nel comportamento esteriore, sicuramente hanno delle ripercussioni; da quelle più irrisorie e banali che possono derivare da un comune scatto d’ira a quelle con conseguenze più drammatiche e a quelle ancora meno immediate che ci portiamo dietro di vita in vita, e che ricadono su noi stessi,  la nostra vita interiore, nonché su coloro che sono coinvolti ed il nostro rapporto con loro (Legge del Karma).

Analizziamo esattamente cosa avviene facendo un esempio:
Qualcuno ci insulta e noi andiamo su tutte le furie… Il nostro battito cardiaco sale, il nostro respiro accelera, i nostri pugni si serrano ed inveiamo a nostra volta contro chi ha minacciato la nostra sopravvivenza…; si, perché noi pensiamo di rispondere in base ad un senso di giustizia, ma la nostra reazione, in realtà, avviene molto prima che la ragione possa inserirsi nel processo: essa ha origine da memorie ancestrali, essendo basata sulla stimolazione chimico/fisica delle stesse aree del cervello (amigdala, nel sistema limbico) che si attivavano nell’uomo preistorico quando, in situazioni estreme e nell’arco di piccolissime frazioni di secondo doveva difendersi dalle forze della natura. Questa reazione meccanica ci impedisce di vedere la realtà per ciò che è, perché si attiva in tempi estremamente rapidi (parliamo di circa 15 millesimi di secondo). L’amigdala, infatti, è strettamente collegata alla paura e scatena reazioni ansiose ed impulsive, spingendo all’azione.
Se, invece di reagire, ci limitiamo a prendere atto dentro e fuori di noi di ciò che accade, osservando senza reprimere ma neanche esprimere all’esterno quella emozione che sperimentiamo pur se dolorosa, arriviamo a ri-conoscere (conoscere di nuovo)  quella sensazione antica che ci attraversa (a livello esoterico, sembra che ogni emozione sia una sorta di portale: essa è sempre la stessa vibrazione che si ripete in vite diverse, perpetuandosi  in situazioni simili finchè non viene riconosciuta e consapevolizzata) e questo riconoscimento, scaturito dallo stato di presenza attenta, libera  da quel carico di energia che genera il perpetuarsi di eventi e condizioni aventi la stessa frequenza vibrazionale e che ci fanno soffrire.
Arriveremo, inoltre, a percepire che tutto non accade A NOI  ma DENTRO DI NOI.

Il processo di reazione di solito, poi, non si limita al momento in cui accade l’evento: tornati a casa e in seguito succede che ci capita di ripensare all’accaduto, anche più volte, di riviverlo nei nostri pensieri e di immaginare scene di vendetta e di rivalsa che non servono a nulla, perché non è attraverso di esse che ripristiniamo il nostro equilibrio, semmai mettono in moto ancora una volta, a livello chimico/fisico, le sostanze tossiche che le alimentano, provocandoci nuovamente la stessa sofferenza; anche in questi momenti è utile soffermarci consapevolmente sulle emozioni che proviamo e sui pensieri che da esse generiamo continuando a praticare l’osservazione.  Questo perché, per la presenza nel nostro cervello dei neuroni specchio, immaginare un situazione equivale a viverla, in quanto per il nostro inconscio non c’è differenza tra immaginazione e realtà. Quindi, immaginare di fare del male o ammazzare qualcuno equivale ad averne fatto esperienza anche se siamo convinti di aver ragione e anche se solo nella nostra mente. Di qui le conseguenze psico/fisiche immediate nonché quelle karmiche a lungo termine dei nostri pensieri.

Può apparire strano dover osservare con distacco le nostre emozioni, in quanto, per piacevoli o dolorose che siano, danno colore e sapore alla nostra vita…  dal loro livello di percezione ci fanno sentire di “esistere, di essere vivi…”.
Ma quando entriamo in uno stato superiore di coscienza e riusciamo ad osservarle, facciamo esperienza di quanto siano illusorie e che la vera gioia e la vera esperienza di vita risiedono oltre il piacere ed i dolore.

Acquisire consapevolezza costituisce la nostra salvezza.

Essa è prerogativa della mente superiore detta anche “corpo causale” (e anche dei livelli ancora più elevati, vedi art. sull’Aura ed i corpi sottili), che promuove
l’elaborazione astratta, e permette la visione d’insieme.
E’ dunque oltre la dualità, ne integra gli opposti, consentendo la trascendenza di questi ultimi, e trasmette alla nostra mente ordinaria l’intuizione per un’ azione adeguata, edificante e creativa.

Praticando la consapevolezza possiamo scegliere la risposta più adeguata alla situazione, piuttosto che reagire inconsapevolmente sulla base delle nostre esperienze pregresse che risiedono nel nostro inconscio e da lì ci condizionano.
Questo perché essa coinvolge l’attività delle aree più evolute del cervello:
– la neocorteccia, che si attiva in presenza di emozioni o sentimenti che richiedono riflessione e non un agire immediato e che promuove reazioni più raffinate;
i lobi prefrontali, che sono preposti alla regolazione degli stati emotivi, spegnendo le emozioni grossolane (lobo sinistro) e controllando paura ed aggressività (lobo destro).
Queste aree del cervello però, sono leggermente più lente ad attivarsi rispetto all’amigdala; esse entrano in gioco dopo almeno 25 millesimi di secondo; uno scarto di appena 10 millisecondi, ma significativo per il nostro sistema nervoso.
Dagli esperti nel campo delle risposte somatiche alle emozioni, infatti, è stato osservato che anche sul viso di chi ha una notevole padronanza e capacità di controllo appare comunque un cenno d’espressione dell’emozione primaria, anche se la reazione comportamentale è perfettamente gestita e controllata, proprio per questo scarto di millisecondi in cui le aree più primitive del cervello si attivano prima che quelle più evolute possano entrare in gioco.

Vediamo un pò in che modo bisogna gestire un’esperienza significativa:
riprendiamo l’episodio precedente, in cui il nostro interlocutore ci ha insultati e la nostra rabbia è esplosa con tutte le dinamiche che abbiamo descritto più sopra; a quel punto la risposta più adeguata per attuare una trasmutazione è di soffermarsi “sull’emozione” senza rifuggirla nè subirla, ma appunto osservarla, entrando in essa” , sperimentandola in tutta la sua intensità, accogliendola senza giudizio.
Non sempre si riesce al primo tentativo di trasmutare il carico energetico di una qualsiasi emozione, ma, praticando l’osservazione, ogni volta impariamo a reggerne l’intensità, a conoscerla, e acquisiamo via via una capacità nuova di sentirla fino in fondo, finchè un bel giorno, il meccanismo inconscio si spezza in un lampo di consapevolezza che porta un senso di liberazione e di rinnovata e reintegrata vitalità. Ossia, l’energia precedentemente imbrigliata nell’emozione si libera e riprende a fluire liberamente. Con il tempo e con una buona introspezione, possiamo arrivare a scoprire la nostra condizione interiore di fondo che genera tale meccanismo.
Ovviamente, inizialmente, siamo presi maggiormente dal dover gestire la situazione esterna, per cui letteralmente “ci dimentichiamo” di essere presenti alla dinamica interiore e di incuderla nel processo, ma con l’impegno e la volontà sicuramente otteremo dei risultati. Occorre comunque perdonarsi se non si riesce a non farsi coinvolgere in un litigio, in un altrerco o in uno sfogo emozionale, l’importante è mantenere l’impegno con se stessi e perseverare riprovandoci.
Praticando la presenta attenta, inoltre, impariamo a percepire la reazione del nostro corpo all’emozione arrivando a gestirla al meglio a vantaggio della nostra salute e, con la dovuta perseveranza, impariamo a non lasciare che la nostra mente generi indiscriminatamente pensieri grossolani di lamentela, giudizio, vittimismo, colpa, condanna, etc. e, ancora, che la nostra immaginazione non crei scenari di violenza, vendetta, negatività.
Possiamo evitare, quindi, di creare forme pensiero negative  e/o di arrivare ad azioni distruttive. Diveniamo padroni dei nostri comportamenti.

Il risultato più significativo che otteniamo, infatti, è che impariamo a NON REAGIRE, ma ad AGIRE consapevolmente attraverso l’atteggiamento più adeguato. Ma non solo questo.

Praticando l’auto-osservazione detta anche da chi la pratica, lavoro su di sé, ci avviamo verso un livello di coscienza più elevato. In realtà, il percorso spirituale vero è fatto essenzialmente di questo.

Se, infatti, esaminiamo bene le pratiche spirituali, i mantra, le preghiere, essi sono strumenti preziosi attraverso cui ognuno può scegliere quello più adatto a sé e trovare la via per elevarsi e connettersi ai livelli superiori. Ma anche questi strumenti, per essere validi, devono essere praticati con un certo livello di consapevolezza e presenza, altrimenti perdono la loro efficacia e possono, se usati meccanicamente, contribuire al nostro “sonno”, allontanandoci dai nostri obiettivi, procurandoci, semmai, solo un piacevole senso di rilassamento.
Per non parlare poi della possibilità che, attraverso di essi, ci si possa connettere alle Eggregore energetiche fittizie create dalle forme pensiero di tutti coloro che invocano determinate Figure Spirituali o Divinità, impedendoci di andare oltre il velo dell’illusione e di accedere veramente al campo di Luce in cui questi Grandi Esseri dimorano nella loro vera essenza.

Chi ha raggiunto tali livelli, un Buddha, un Gesù, un Krishnamurti, infatti, ha potuto sperimentare un vero e proprio Risveglio e, di conseguenza, constatare che l’essere umano vive in uno stato di addormentamento profondo, completamente identificato con i suoi contenuti mentali, che, continuamente ed inconsapevolmente, proietta sul mondo esterno, creando lui stesso la sua realtà, che da tali Maestri è definita, per questo motivo, illusioneEgli non solo crea a livello inconscio le situazioni all’esterno, ma, continuando a reagire ad esse inconsapevolmente, non fa altro che alimentare quel campo energetico collettivo di energie e pensieri dalle vibrazioni basse in cui non si rende conto di essere immerso, in un perpetuarsi senza fine.

Anche la psicoterapia, ove veramente necessaria, può essere coadiuvata dalla pratica della consapevolezza, quando l’analisi si rivela un percorso arduo e spropositatamente lungo.

La Consapevolezza è come un fuoco che brucia ogni illusione. E’ la strada verso la padronanza di sé e la maestria.

Essa, secondo i più Illuminati Maestri di tutte le epoche, rappresenta il nostro più alto grado di libertà.

I Maestri, quali Osho, il Buddha, ma anche Gesù in alcuni versetti della Bibbia, raccomandavano incessantemente di “Vigilare” o di non “cadere addormentati”, come, per esempio, nell’episodio del Getsemani.

Tuttavia, per ottenere un buon livello di consapevolezza che diventi stabile in un piano di coscienza più elevato, è preferibile fare degli esercizi di presenza in determinati momenti della giornata, piuttosto che stare costanemente all’erta mentre non ci sono situazioni particolari. Pare che risulti più efficace praticarla 5 minuti al giorno, per 40 giorni continuativi alla stessa ora, magari durante attività che non ci assorbono particolarmente, tipo guardare le vertine o riordinare la casa, (esercizio della testa di ponte) per sortire risutati rilevanti. Con questo esercizio però se ce ne dimentichiamo un giorno dobbiamo ricominciare daccapo. Oppure possiamo prestare attenzione a ciò che ci passa per la testa ogni volta che passiamo sotto una porta o mentre mangiamo o ancora mentre ci vestiamo. Cercare di essere presenti mentre portiamo la forchetta alla bocca e mentre sentiamo il sapore del cibo, e se la nostra mente divaga, riportarla all’azione che stiamo compiendo immergendoci in essa in maniera totale, “diventando” quell’azione e lasciando spazio solo ad essa. Possiamo praticare la camminata lenta, osservando ogni singolo passo o concentrarci sul nostro respiro, in tutti i casi evitando che la mente vaghi e cercando di prolungare la nostra permanenza nel “qui ed ora”. Gli esercizi sono molti, l’importante è scegliere quello che ci riesce meglio sia per l’orario che per il tipo di attività. Al di là degli esercizi, l’abilità sta nel tenere a bada le fantasie incontrollate ed il saltare della mente da un pensiero ad un altro attraverso le sue associazioni continue, stimolate da un odore, un suono, un ricordo, un qualsiasi stimolo esterno o interno in un collegamento di immagini, pensieri, sensazioni ed emozioni che sfugge al nostro controllo.
Man mano che diventiamo sempre più consapevoli ed in grado di gestire i nostri pensieri e le nostre emozioni, acquisiamo una migliore capacità di concentrazione ed efficienza e ci rendiamo sempre più conto che col nostro stato interiore influenziamo il concretizzarsi degli eventi esterni.
Impariamo ad usare la consapevolezza anche nello scegliere con discernimento i pensieri, le parole, le emozioni e le azioni che ci elevano e che promuovono benessere ed amorevolezza sia per noi che per chi ci circonda, compresa la natura, gli animali, le piante.
Ci rendiamo sempre più conto di quanto siamo interconnessi e della responsabilità che abbiamo in quanto esseri umani. Impariamo ad essere consapevoli nella scelta del partner, del lavoro, degli hobby e quant’altro.
In ciò sviluppiamo anche la nostra creatività perché “ascoltandoci” e prestando attenzione al mondo esterno impariamo l’empatia e l’immedesimazione, e di conseguenza, quando poi operiamo delle scelte, teniamo conto scrupolosamente delle conseguenze a lungo termine di ciò che facciamo e cerchiamo di assumere un ruolo di creatori consapevoli di quanto più bello e vero corrisponda al bene comune.
Il fine ultimo del nostro lavoro interiore è, infatti, proprio quello di guarire il senso di separazione e promuovere l’unità attraverso il rispetto dell’unicità ed irripetibilità di ciascuno; la consapevolezza permette proprio questo.

(Parlare di consapevolezza da un piano meramente intellettuale può dare solo un’idea di come porci per provare a gestire le molteplici situazioni che ci capitano nel quotidiano. Quest’articolo, per quanto abbia toccato i punti principali, costituisce solo un accenno, un piccolo sunto e non può coprire un argomento così ampio e delicato in maniera esaustiva. E’ utile, per una comprensione che aiuti la mente logica, partecipare ai corsi e seminari di relatori che hanno raggiunto un determinato livello di comprensione e profondità interiore che può essere da essi trasmesso soprattutto a livello di frequenze energetiche. Mi auguro che ciascuno possa trovare il relatore che per affinità vibrazionale possa aiutarlo a crescere in questo senso. Atma Namaste) 

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Riferimenti bibliografici e videografici:
dal web: Guidapsicologi.it – riferimenti generici e sunti vari da testi e videografia di Osho, S. Brizzi, E. F. Poli, disponibili attraverso questi link:

 

 

 

 

 

 

 

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